Occhio. Così lo chiamavano da bambino. Era la caratteristica che più risaltava. Il suo logo naturale. Così lo vedevano gli altri. Due grandi occhi. Dello stesso colore del cielo, dicevano. Una bellissima favola. Il piccolo principe dagli occhi azzurri. Ma le favole si sa, hanno sempre un labirinto oscuro da attraversare e una forte miopia trasformò quella giovanissima vita. Da “occhio” diventò “quattrocchi”. Una bella differenza. Il mondo era sfocato, confuso. I compagni di classe aggressivi, cattivi come solo i ragazzini sanno essere. Lui che voleva solo amare ed essere riamato. Perché? si chiedeva, perché ? Così, per difesa, diventò timido e introverso. Cominciò a creare un mondo immaginario dove solo lui poteva entrare. Dietro gli occhiali. Osservava. Sempre. Particolari a cui nessuno sembrava fare caso. I genitori erano preoccupati. Passava interi pomeriggi a guardare il mondo passare sotto la sua finestra. Quando usciva, si nascondeva nell’erba alta dei campi e osservava gli animali. Insetti, lucertole, gatti, cani ed uccelli. E poi sognava, con gli occhi aperti. Dietro gli occhiali. Due fondi di bottiglia a nascondere il logo. A ripensarci che fortuna è stata. Forse senza quel difetto, ingigantito dalle sue acerbe percezioni, non avrebbe sviluppato la fantasia. Certo ha sofferto e tanto. Da bambini e soprattutto da adolescenti non è bello sentirsi diversi. Per molti anni ho portato quel bambino con me. Gli avevo promesso riscatto e vendetta. Ho combattuto per lui. Una guerra inutile e già persa in partenza. E un bel giorno ho capito. Ho perdonato quel bambino e tutti coloro che lo avevano fatto soffrire. Nessun colpevole. E’ il viaggio. Sono le ferite che servono per crescere e diventare migliori. Ora la storia del piccolo Victor la racconto nei miei spettacoli e la canto nelle mie canzoni. Perché la vita si guarda con il cuore anche dietro gli occhiali.
